Maresio, Giulio

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Giulio Maresio o Maresi (Belluno, 1522 - Roma, 1° ottobre 1567) è stato un frate minore conventuale, perseguitato e condannato a morte dall'Inquisizione romana.

Studiò a Bologna, dove ebbe occasione di leggere testi di Lutero e Melantone, fornitigli dal confratello Domenico Fortunato (in seguito suo accusatore), quindi a Padova, addottorandovisi in teologia nel 1550. Rientrato a Belluno come guardiano del convento francescano, fu accusato di eresia. Il processo si concluse con la sua abiura a Venezia nella mani dell'inquisitore Nicola da Venezia (31 dicembre 1551). Fu condannato a cinque anni di reclusione nel convento di San Pietro a Cracovia, in Polonia. Qui, scontata la sua pena, si avvicinò al calvinismo grazie alla frequentazione di Francesco Lismanini, presente nella città nel 1556, e si sfratò. Su trasferì quindi a Zurigo, finanziato da Lismanini, dove ebbe l'occasione di frequentare, tra gli altri, Lelio Sozzini, Bernardino Ochino, Pietro Martire Vermigli, Giorgio Biandrata e Giovanni Frisio. Appresa la notizia della morte del padre a Belluno (1558), decise di ritornare al cattolicesimo: pertanto rientrò a Cracovia, ottenendo l'assoluzione (17 agosto 1560). Rientrato infine a Belluno solo nel 1566, fu arrestato e sottoposto a processo dall'inquisitore Bonaventura Maresio, lui stesso minore conventuale e suo parente.
Trasferito a Roma, in quanto relapso fu condannato a morte e decapitato il 1° ottobre 1567, insieme a Pietro Carnesecchi (come a quest'ultimo, essendosi pentito, a Maresio fu risparmiato il rogo da vivo e il cadavere fu dato alle fiamme dopo la decapitazione).

Bibliografia

  • Vittorio Mandelli, Maresio, Giulio, in DBI, vol. 70 (2007) e bibliografia ivi.

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Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2014

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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