Donzellini, Girolamo

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Girolamo Donzellini o Donzellino (Orzinuovi, 1513 - Venezia, 1587) è stato un medico ed eretico, condannato a morte dall'Inquisizione veneziana.

Vita e opere

Contesto familiare, formazione universitaria e prime esperienze ereticali

Nacque a Orzi Nuovi, nel bresciano, nel 1513 circa. Insieme con i fratelli Pietro e Cornelio fu educato dal padre Buonamonte al dissenso religioso. Ebbe come precettore Michelangelo Florio, ex-frate francescano e teologo eterodosso, poi esule in Inghilterra, e assistette fin dalla tenera età ai dibattiti teologici che si tenevano tra le mura domestiche.

Acquisiti in famiglia i rudimenti di una spiritualità filo-riformata, si recò a Padova, ambiente permeato dalle dottrine ereticali. Qui si addottorò in medicina nel 1541 e ottenne pochi mesi dopo la seconda cattedra straordinaria di medicina teorica. In cerca di ulteriori successi professionali, nel 1544 si trasferì a Roma, dove prestò servizio presso i cardinali Giulio Della Rovere e Durante Duranti. Nello stesso periodo, frequentò il circolo eterodosso animato dall’arcivescovo di Otranto Pietro Antonio Di Capua. Tale conventicola era influenzata dalla spiritualità valdesiana e Donzellini poté così assorbire i succhi di una religiosità fondata su un’assoluta libertà interiore, aperta a implicazioni nicodemitiche e sviluppi radicali.

Il primo soggiorno veneziano

Il gruppo fu scoperto dall’Inquisizione nel Natale del 1545 e molti membri furono costretti alla fuga: accolto l’invito del patrizio Leonardo Mocenigo, Girolamo si rifugiò a Venezia. La città gli diede occasione di estendere la rete delle sue conoscenze ereticali: praticando come medico degli ambasciatori inglesi, Edmund Harvel prima e Pietro Vanni poi, visse circondato da dotti e umanisti vicini alle idee eterodosse se non apertamente eretici. Inoltre, entrato in rapporti con lo stampatore eterodosso Pietro Perna, iniziò un’attività di contrabbando di libri proibiti, immettendo nella Repubblica le pubblicazioni che il toscano stampava a Basilea. La lettura e il possesso di libri proibiti e il coinvolgimento nel movimento di Riforma (favorito anche dall’arrivo a Venezia del fratello Cornelio nel 1549) lo posero nuovamente nel mirino dell’Inquisizione, e nel 1553 fu condannato in contumacia e bandito dalla Repubblica di Venezia.

Gli anni dell’esilio religionis causa

Non sono noti i dettagli della vita di Donzellini nei 7 anni successivi. Tuttavia, è possibile ricostruirne a grandi linee la vicenda tra il 1553 e il 1560, anno in cui, di ritorno a Venezia, si presentò spontaneamente presso il tribunale dell’Inquisizione.
Inizialmente si rifugiò per qualche mese a Padova, in seguito si recò a Ferrara alla corte di Renata di Francia, e infine abbandonò l’Italia. Varcate le Alpi, per qualche tempo fu a Tubinga, ospite dell’ex-vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio, e tra il 1554 e il 1559 il suo itinerario coprì Norimberga, Ratisbona e Augusta, dove assunse prestigiosi incarichi presso la corte imperiale. La sua attività gli permise di intessere rapporti con personalità che avrebbero potuto favorire il suo ritorno in Italia, obiettivo che si concretizzò nel 1559 quando ottenne il salvacondotto imperiale.

A Basilea: l’edizione delle orazioni di Temistio per i tipi di Pietro Perna

Prima di rimpatriare, tuttavia, si recò a Basilea (1558/1559), dove collaborò all’attività di Perna, suo amico e compagno di fede fin dagli anni cinquanta. In particolare, lavorò all’edizione delle orazioni di Temistio, curandone un’introduzione incentrata sul concetto neoplatonico di docta religio, in cui il riferimento alla dottrina della prisca theologia era esplicito. Sintesi di tutte le tradizioni religiose e filosofiche, e culminante in un cristianesimo irenico e adogmatico, tale religio o sapientia era stata concessa da Dio all’uomo fin dalla notte dei tempi. Essa si esprimeva nella consapevolezza che Dio fosse «unico, eterno, immobile, immutabile, infinito, onnipotente», e anche nell’età contemporanea connetteva dotti di diverso credo religioso.
L’obiettivo di tale opera non era solo promuovere un cristianesimo ridotto ai fundametalia fidei. Come suggeriscono la pubblicazione per i tipi di Pietro Perna, il contesto basileese nel quale vide la luce, e la scelta stessa di pubblicare i discorsi del retore bizantino, annoverati nel De haereticis an sint persequendi di Castellione tra le fonti in favore del pluralismo religioso, essa era il frutto di un impegno militante in favore della tolleranza. Donzellini si inseriva così nella polemica che da almeno 5 anni impegnava Castellione e i suoi compagni contro l’intransigenza calvinista, mentre la sua religiosità assumeva i contorni di un cristianesimo universalistico, che riconosceva la potenza e la sapienza di Dio in ogni manifestazione naturale e storica, e si apriva a un soggettivismo alieno a ogni forma di ortodossia.

L’impegno in favore della circolazione di libri proibiti

Negli anni del bando da Venezia, dunque, Donzellini si diede da fare per consolidare i rapporti con altri italiani emigrati religionis causa. Inoltre, è possibile che proprio nel corso della sua permanenza oltralpe approfondisse la conoscenza di Theodor Zwinger e Gioacchino Camerario jr, coi quali avrebbe continuato a corrispondere per il resto della vita. La collaborazione con Pietro Perna e l’amicizia con questi umanisti d’oltralpe irrobustirono il suo ruolo di intermediario nella distribuzione di libri religiosi e scientifici messi all’Indice, e il suo impegno in favore della coesione di quella che egli stesso definì la respublica medicorum.

Il periodo veronese

Forte del salvacondotto e delle lettere di raccomandazione ottenuti in Germania, Girolamo tornò in Italia nel 1560 e il 12 novembre si presentò spontaneamente davanti all’Inquisizione di Venezia. La sua difesa si concentrò essenzialmente nella redazione di una lunga apologia (documento di eccezionale valore per ricostruire i contorni del movimento di Riforma veneziano), in cui, se riconobbe di essersi reso sospetto attraverso la lettura di libri riformati, la condanna degli abusi del clero e la frequentazione di eterodossi, negò con forza qualsiasi ulteriore coinvolgimento nel movimento ereticale. Tale strategia fu vincente, e Donzellini uscì quasi indenne dal secondo processo. Condannato ad un anno di reclusione, scontò in realtà solo parte della pena e nel 1561 era già in libertà. Poté allora stabilirsi a Verona, dove trascorse i 12 anni successivi, durante i quali venne ammesso al Collegio dei medici e prese in moglie Lucrezia, la quale nel 1568 diede alla luce un figlio di nome Virgilio.

Il processo del 1575

La tranquillità tuttavia non durò a lungo. Nel 1573 le rivalità coi colleghi degenerarono al punto che uno di essi arrivò ad attentare alla sua vita. Fallito il tentato omicidio, fu forse con la complicità dei suoi avversari che l’anno successivo Donzellini fu condotto davanti ai giudici dell’Inquisizione di Verona, per essere poi tradotto a Venezia nel 1575: qui le sue idee religiose, i suoi comportamenti, la sua corrispondenza, le sue letture, le sue relazioni ereticali e il suo itinerario oltralpe vennero nuovamente indagati, anche attraverso il ricorso alla tortura. In particolare, fu accusato di aver fatto parte del gruppo ereticale che nei primi anni cinquanta si raccoglieva presso l’abitazione dei coniugi Gaspare e Pantasilea Parma, e di essere stato coinvolto nella fuga dal monastero di Santa Lucia di due monache sue pazienti, avvenuta 25 anni prima. Incalzato da domande sempre più stringenti, Donzellini confessò le opinioni eterodosse cui aveva aderito, rivelò i libri che aveva letto e, fornendo un elenco più dettagliato rispetto a quello del 1560, fece i nomi degli eterodossi che aveva frequentato. Il 9 giugno del 1575 abiurò e fu condannato al carcere a vita, pena da consumarsi nella prigione di San Giovanni in Bragora. Nel frattempo, a Verona fu espulso dal Collegio dei medici e il suo nome cancellato dalla matricola, per fare perdere la memoria della condanna inquisitoriale a carico di uno dei membri.

La peste e la liberazione

Quando tutto sembrava perduto, la drammatica circostanza della peste, che si abbattè su Venezia tra il 1575 e il 1577, si rivelò provvidenziale per il medico: il 12 dicembre del 1576 il patriarca di Venezia consentì che egli fosse temporaneamente rilasciato affinché curasse gli appestati. Se con la fine dell’epidemia, nell’aprile dell’anno successivo, Donzellini ottenne la grazia, ciò probabilmente avvenne in virtù dei servizi resi alla città e del trattato che scrisse durante la prigionia, il Discorso nobilissimo e dottissmo preservativo e curativo della peste (Venezia 1577). Grazie alla sua azione terapeutica, il 19 aprile del 1577 fu definitivamente messo in libertà e gli fu permesso di tornare a praticare la professione a Venezia.

Il processo del 1578

I suoi problemi con il tribunale della fede, però, non erano finiti. Appena un anno più tardi, fu nuovamente convocato dal Sant’Uffizio per essere interrogato in merito alla fuga di Nascimbene Nascimbeni, grammatico ferrarese condannato come seguace di Giorgio Siculo al carcere a vita nel 1571. Nascimbeni era stato compagno di cella di Donzellini durante la prigionia in San Giovanni in Bragora ed era poi stato affidato alla custodia e alle cure terapeutiche del bresciano; il 10 luglio del 1578, tuttavia, era fuggito lasciando il suo ospite in grande difficoltà. Girolamo, considerato dai giudici «persona astuta» e «pratica delle cose del mondo», fu ritenuto complice del ferrarese, posto agli arresti domiciliari e costretto alla cessazione dell’attività terapeutica.

Gli ultimi anni e la pubblicazione del Remedium ferendarum iniuriarum

La scarsità delle fonti non permette di ricostruire cosa accadde nella vita di Donzellini tra il 1578 e il 1587, anno in cui venne giustiziato. Vengono solo parzialmente in soccorso le lettere scritte agli amici Theodor Zwinger e Gioacchino Camerario, dalle quali si apprende che, almeno in un primo tempo, restò inattivo - salvo intrattenere alcuni scambi intellettuali, non privi forse di risvolti pratici nella sperimentazione terapeutica, con l’empirico Tommaso Zefiriele Bovio, con cui condivise l’interesse per l’alchimia e il paracelsismo. È noto che si dedicò a leggere i libri della sua ricca biblioteca e a comporre trattati medico-filosofici e, da questo punto di vista, di particolare interesse risulta un’opera che egli diede alle stampe nel 1586, il Remedium ferendarum iniuriarum sive de compescenda ira. Incentrato sul problema dell’ira come male supremo del corpo e dello spirito, tale testo raccoglie nozioni di ambito medico, filosofico e dottrinale e può essere letto come una sorta di testamento spirituale. Il tema del superamento di ogni forma di conflitto tra gli uomini costituisce una metafora delle lotte intestine che dilaniavano la cristianità e della necessità di risolverle in una religione universale, fondata sull’imitazione di Cristo; mentre il rinnovato richiamo alla docta religio esprime una concezione del sacro come meditazione, culto e amore dell’unico Dio. In questo quadro, l’aderenza al motivo neoplatonico e ai valori umanistici (l’immanenza di Dio nel creato, la somiglianza dell’uomo a Dio, e la necessaria sim-patia di tutti gli esseri viventi), fornisce coerenza a una proposta religiosa dissimulata nei suoi motivi eterodossi.

La condanna a morte

Negli stessi anni, Donzellini non venne meno al suo impegno in favore della circolazione di libri proibiti. Probabilmente, fu proprio il contrabbando e il possesso di tali volumi a valergli la condanna a morte per annegamento nei primi mesi del 1587. Il testo della sentenza, così come i verbali inerenti all’ultimo processo, non sono ad oggi stati rinvenuti, ed è necessario affidarsi alla lettura di altre fonti per ricostruire le ultime settimane della sua vita. Una di queste è costituita dal processo a carico del libraio Giorgio Valgrisi, nell’ambito del quale si evince che Girolamo si vantava della propria ampia collezione di libri proibiti, incurante delle regole censorie imposte da «quei frati di san Domenico». Tale spavalderia mal celava la consapevolezza che i giudici si sarebbero presto rimessi sulle sue tracce: dopo l’incauta spedizione del De admirabili consilio Dei di Johannes Rivius da parte del grecista Frederich Sylburgius, Donzellini cercò di darsi nuovamente alla fuga, per raggiungere a Norimberga l’amico Camerario. La rigidità dell’inverno, tuttavia, lo costrinse a rimandare la partenza: sarebbe stato giustiziato nella primavera di quell’anno.

Bibliografia

Link

Article written by Alessandra Celati | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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