Donne in armi tra Tardo Medioevo e Rinascimento

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


La storiografia ha mostrato negli ultimi decenni un forte interesse in merito al ruolo politico femminile tra le fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento, ma ha faticato a considerare la declinazione militare di questa dimensione come qualcosa di organico alla funzione di governo. Tuttavia, come ha scritto Sophie Cassagnes-Brouquet, le parole per designare la donna cavaliere «existent au Moyen Âge, en latin comme dans les langues d’oïl et d’oc, non seulement pour désigner la femme d’un chevalier, mais aussi la cavalière, celle qui combat à cheval, ou encore la dame qui appartient à un ordre de chevalerie» (Cassagnes-Brouquet, p. 9).

Alcuni esempi (Marzia degli Ubaldini, Orsina Visconti, Antonia Torelli, Donella Rossi, Costanza da Correggio)

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Anche in Italia non sono rari i casi di donne impegnate in azioni militari, soprattutto difensive. A partire dalla seconda metà del ‘300, infatti, si assiste, almeno in area emiliano-lombarda, ad una «femminilizzazione dell’aristocrazia territoriale» (Arcangeli, pp. 599-600), che avrebbe conosciuto il suo apice nella prima metà del ‘500, al punto da ipotizzare per Caterina Sforza, secondo la definizione di Joan Kelly, «un’acme delle potenzialità femminili tra Quattro e Cinquecento» (Covini, p. 247). È in questa cornice, quindi, che cercherò di far emergere una specificità militare, oltre a quella politica, di questo Rinascimento al femminile.

Un primo esempio è rappresentato da Marzia degli Ubaldini da Susinana, anche conosciuta come Cia degli Ordelaffi. Nata nel 1317 dall’unione tra il nobile ghibellino Vanni degli Ubaldini e la fiorentina Andreina di Maghinardo Pagani, passò la sua infanzia nei castelli aviti posti a guardia delle vette appenniniche. Nella prima metà degli anni ’30 del XIV secolo, Marzia sposò Francesco II Ordelaffi, il più acerrimo nemico del potere papale in Romagna. Nel decennio successivo, la signoria dell’Ordelaffi si estese su tutta la Romagna centrale, comprendendo Forlì, Cesena, Forlimpopoli, Bertinoro e altri centri minori. La forza dell’Ordelaffi era tale che il papa Innocenzo VI bandì nel 1356 una crociata contro di lui, appello rinnovato nel 1357 e nel 1359, al fine di riportare le città romagnole sotto il controllo pontificio.
Per difendere meglio le sue città, Francesco restò a Forlì, principale centro del suo dominio, mentre mandò sua moglie Marzia a Cesena, ordinando agli abitanti e ai magistrati della città di obbedirle come si fosse trattato della sua stessa persona. Il temperamento energico della moglie dell’Ordelaffi non tardò ad emergere. In uno scambio di lettere tra i due coniugi, vediamo, alla raccomandazione del marito di aver cura della città, ella rispose: «Signor mio, piacciavi di aver buona cura di Forlì, che io averò buona cura di Cesena» (Viroli, p. 58).
Marzia arrivò nella città affidatale a cavallo, in armatura, e ne prese possesso nel 1356. Già il 29 aprile del 1357 la fazione guelfa insorse, obbligando Marzia a ritirarsi nella cittadella fortificata con i suoi uomini. Matteo Villani, nella Nova Cronica, scrisse di lei che «con animo ardito e franco, più che virile, prese la difesa del minor cerchio e della rocca […] mostrando di poco temere cosa che avvenuta le fosse» (Villani, p. 223). Qualche giorno più tardi, un forte esercito comandato dal legato papale, il cardinale d’Albornoz, si avvicinava alle mura della città. Sappiamo con certezza che Marzia prese parte attiva ai combattimenti per la difesa della fortezza di Cesena. È ancora Matteo Villani che ci informa: «Ella sola rimase guidatrice della guerra e capitana dei soldati, e il dì e la notte difendea la murata dagli assalti della gente sì virtuosamente e con così ardito e fiero animo che amici e i nemici la ridottavano non meno che se la persona del capitano fosse presente» (Villani, p. 225).
Ciononostante, la posizione di Marzia era indifendibile senza l’invio di rinforzi da Forlì, che non arrivarono mai. Per questa ragione il cardinale d’Albornoz, per non versare sangue inutilmente, permise al padre di Marzia, il vecchio capitano di ventura Vanni da Susinana, di tentare di convincere la figlia ad arrendersi. Egli le disse: «Tu puoi prestar fede alla mia esperienza militare; ho vedute le opere degli assedianti, ho veduto l'abisso su cui pendi sospesa; tutto è perduto. Giunto è l'istante di arrenderti, e di accettare le onorate condizioni che il legato mi incarica di offrirti» (Levorati, p. 140). Il fatto che il padre di Marzia non si indirizzasse alla figlia in termini sentimentali, ma con considerazioni di ambito squisitamente militare, ci dice qualcosa sul tipo di rapporto che correva tra padre e figlia, sul lessico famigliare che doveva esistere tra loro e, in ultima istanza, sul tipo di educazione che la giovane doveva aver ricevuto. Evidentemente Marzia doveva avere familiarità con il mondo militare, con le sue categorie e le sue dinamiche.
L’assedio finì con la presa della fortezza di Cesena da parte delle truppe papali grazie al collasso delle mura della rocca ottenuto con l’escavazione di gallerie sotterranee. Prima che il castello cedesse, comunque, Marzia capitolò, ottenendo la libertà per i suoi uomini, ma consegnandosi prigioniera con i propri figli.

Un secondo caso, un po’ più tardo, è rappresentato da Orsina Visconti, signora del feudo emiliano di Guastalla. Nel 1426, nel corso delle guerre che opposero Milano e Venezia, il feudo Guastallese, strategicamente collocato sulla sponda destra del fiume Po, al confine meridionale dello stato visconteo, fu attaccato dalle truppe veneziane. Il signore di Guastalla, Guido Torelli, era in quel momento assente, impegnato in altre campagne militari nel sud della Penisola. La difesa della comunità ricadde allora sulla moglie del Torelli, Orsina Visconti, del ramo dei Visconti di Somma. Orsina, invece che sorpresa dalle incombenze militari, sembra emergere dalle fonti come a suo agio nella battaglia. Ella viene infatti descritta come «molto coraggiosa, e nel mestiero delle armi grandemente addestrata, e potuto avrebbe di leggieri far fronte al nemico» (Affò, p. 27). Orsina diresse personalmente gli uomini in battaglia per spezzare l’assedio veneziano, interamente armata e a cavallo. La storia ci dice anche che, prima del combattimento, ella andò sulle mura della comunità per insultare i soldati avversari, uccidendone diversi.

«La donna forte di quanto succedeva, e veduta l’occasione di far prova del suo valore, chiamò tosto da Parma assai fanti, e balestrati, de’ quali fattasi condottiera ella stessa, venne ad insultar quelle schiere che alla sua Guastalla strage minacciavano e ruina. Fu bello il vederla di lucid’armi coperta frenar generoso destriero, disporre i suoi seguaci a battaglia, ed esortarli con acconcie parole alla pugna; ma fu terribile ancora il rimirarla scagliarsi addosso alle ostili squadre, sbaragliarle, e fugarle. Lasciò ella morti più di cinquecento Schiavoni sul campo, varj de’ quali caddero dal braccio di lei stessa trafitti: onde spaventato il rimanente dell’esercito diedesi precipitosamente alla fuga. […] La sua corazza poi colle altre armi da lei usate fu conservata come il più nobil trofeo che adornar potesse l’Armeria delle Rocca» (Affò, pp. 28-30).

Un altro caso simile ci viene offerto qualche anno più tardi da una nipote di Orsina, Donella Rossi-Sanvitale. Nata nel 1435 fu la figlia di Pietro Maria Rossi, conte di Berceto, e di Antonia Torelli, a sua volta figlia di Guido Torelli e Orsina Visconti. Nel 1448 anche Antonia aveva dato prova di attitudine al comando e doti militari aiutando suo marito a reprimere un sollevamento popolare nella città di Parma, guidando una schiera di uomini armati, degna figlia della madre. Quanto a Donella, ella sposò nel 1454 il conte Giberto Sanvitale, rivale di suo padre nel quadro dell’aristocrazia parmense. Il matrimonio, tuttavia, non riuscì a riconciliare le due fazioni, e, nel 1482, Donella si trovò sola a difendere il castello di Sala Baganza, uno dei più importanti bastioni sanvitaleschi, dall’attacco di suo cugino, Amuratte Torelli. Ancora una volta l’assedio fu feroce, ma Donella seppe resistere prendendo parte attiva al combattimento, portando le armi ma anche motivando i suoi soldati con incitazioni e incoraggiamenti. «Tale oppugnazioni sostenevasi da Donella con fortezza superiore ed animo di femmina, dando ella a dividere coraggio grande in quell’arduo cimento. Assisteva armata ai difensori; e con virile costanza esortandoli, ammonendoli, amichevolmente chiamandoli, e scorrendo pei baloardi ne cresceva il fervore» (Ronchini, p. 132). L’assedio si concluse non solo favorevolmente per Donella, ma essa riuscì anche a uccidere il capo degli assedianti, Amuratte, con un colpo di archibugio tirato dalle mura del castello che colpì il cugino al femore.

Ancora nel 1527, nel corso delle Guerre d’Italia, troviamo altri esempi di donne alla difesa della comunità o del castello in assenza dei mariti. In quest’anno, nella piccola comunità di Novellara, nella diocesi di Reggio Emilia, vediamo Costanza da Correggio, moglie di Alessandro I Gonzaga, resistere all’assedio delle truppe veneziane e imperiali con «animo d’homo, et non di donna» (Ariosi, p. 100).

Osservazioni

Dai casi qui brevemente esposti emergono sotto trama alcuni aspetti degni di considerazione. Notiamo infatti, benché in modo indiretto, come la dimensione educativa assuma un ruolo importante in relazione alle azioni militari di queste donne. Nel primo caso, Marzia degli Ubaldini è figlia e nipote di militari di professione. A lei il padre si indirizza in termini tecnici, con argomentazioni squisitamente militari. Nei casi successivi, vediamo invece tre generazioni di donne (Orsina-Antonia-Donella), tutte impegnate attivamente sul piano militare. La stessa Donella, nel corso della sua infanzia aveva visto il padre, Pier Maria Rossi, anch’egli militare di professione, intento a fortificare i suoi feudi di pianura e di montagna. Una contemporanea ai pochi esempi fatti è Bianca Maria Visconti, moglie di Francesco Sforza, che nel 1448 difese la città di Cremona dall’assalto veneziano guidando le truppe cittadine vestita di armatura. Bianca Maria, divenuta duchessa di Milano, fu a sua volta responsabile dell’educazione della più celebre donna in armi del Rinascimento italiano, Caterina Sforza.
Si nota quindi, indirettamente ma inequivocabilmente, una pedagogia militare rivolta alle giovani aristocratiche che, una volta sposate, avrebbero dovuto, in caso di bisogno, ma non in modo improvvisato, ausiliare il marito militarmente. Ausilio, non dipendenza, né immediata subordinazione, come dimostrano i casi delle donne qui considerate (si pensi in particolare a Marzia degli Ubaldini) che presero decisioni in autonomia, definendo in tal modo il futuro delle signorie cui appartenevano. In tal senso si delinea un nuovo aspetto della vicenda femminile del Medioevo e del Rinascimento.

Bibliografia

  • Ireneo Affò, Istoria della città e ducato di Guastalla, Vol. II, Stamperia di Salvatore Costa, Guastalla 1786.
  • Ireneo Affò, Storia della città di Parma, IV, Stamperia Carmignani, Parma 1795.
  • Vittorio Ariosi (a cura di), Memorie Istoriche dei Gonzaga di Novellara scritte dal Canonico Vincenzo Davolio, Aliberti editore, Roma 2009.
  • Sophie Cassagnes-Broquet, Chevaleresses. Une chevalerie au féminin, Perrin, Paris 2013.
  • Franco Catalano, Visconti, Bianca Maria, in DBI, Vol. 10 (1968).
  • Nadia Covini, Tra patronage e ruolo politico: Bianca Maria Visconti (1450-1468), in Donne di potere nel Rinascimento, a cura di Letizia Arcangeli e Susanna Peyronel, Viella, Roma 2008.
  • Cronica di Matteo e Filippo Villani, in Biblioteca enciclopedica italiana, Vol. XXX, Per Nicolò Bettoni, Milano 1834.
  • Monica Ferrari, “Per non manchare in tuto del debito mio”. L’educazione dei bambini Sforza nel Quattrocento, FrancoAngeli, Milano 2000.
  • Jacopo Filippo Foresti, De Claris Mulieribus, Ferraria, Lorenzo de Rubeis, 1497.
  • Joan Kelly, Did women have a Renaissance?, in Women, History and Theory. The Essays of Joan Kelly, a cura di Id., The University of Chicago Press Chicago-London 1984.
  • Ambrogio Levorati, Dizionario biografico-cronologico degli uomini illustri, Per Nicolò Bettoni, Milano 1821. (Vol. 1, Donne illustri).
  • Federico Piseri, Avanzandomi tempo […] ho imparato un poco de scrivere». Studio sulla progressiva caratterizzazione di genere delle lettere dei figli degli Sforza negli anni della loro formazione, in corso di pubblicazione negli atti del Colloquio Internazionale Lettres de femmes dans l’Europe médiévale (XIe-XVIe siècle), Casa de Velázquez Madrid, 23-25 maggio 2016.
  • Amadio Ronchini, Notizie biografiche intorno a Donella Rossi-Sanvitale, in «Poligrafo. Giornale di scienze, lettere, arti», I (1844)
  • Marco Viroli, Signore di Romagna. Dame, amanti e guerriere nelle corti romagnole, Il Ponte Vecchio, Cesena 2010.
  • Katherine J. Walsh, La principessa in età premoderna: il suo ruolo e il suo campo d’azione, in La società dei principi nell’Europa moderna (secoli XVI-XVII), a cura di Christof Dipper e Mario Rosa, Il Mulino, Bologna 2005.

Nota bene

Questa voce fa parte della sezione "Dominae fortunae suae". La forza trasformatrice dell’ingegno femminile, che approfondisce il contributo offerto dalle donne alla nascita e allo sviluppo dei diversi campi del sapere.

Article written by David Salomoni | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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