Caccia alle streghe nei Paesi Baschi (1608-1614)

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Il contesto dei Paesi Baschi in età moderna appare di estremo rilievo per lo studio del fenomeno della caccia alle streghe per la descrizione vivida del sabba che le fonti documentarie offrono e per l'imponenza della persecuzione negli anni tra il 1608 e il 1614.

La prima fase (1608-1610): repressione e autodafé

Contestualmente all'esplosione della caccia alle streghe nei Paesi Baschi spagnoli, vi fu una feroce persecuzione nel Labourd, il versante francese dei Paesi Baschi, condotta da Pierre de Lancre, incaricato del parlamento di Bordeaux, che portò al rogo di decine di individui, tra donne e uomini (per quanto le fonti non permettano un computo sufficientemente preciso delle vittime, si stimano almeno un'ottantina di roghi).
Per quanto riguarda il versante spagnolo, la caccia si concentrò nei villaggi pirenaici di Zugarramurdi ed Urdax, sottoposti alla giurisdizione del monastero premostratense di Urdax. Gli indiziati (poi condannati) furono donne e uomini di bassa estrazione sociale tra i venti e gli ottant'anni, con una netta prevalenza di donne di età avanzata.
Le prime accuse partirono, nel dicembre 1608, da Maria de Ximildegui, giovane donna rientrata a Zugarramurdi dalla Francia, che sostenne di aver fatto parte di una congrega di streghe e di aver partecipato al sabba, accusando come complice un'altra giovane, Maria de Jeretuguia, la quale si confrontò con l'accusatrice, dapprima negando, ma infine cedendo e confessando di essere una strega. Costretta a una pubblica confessione, Maria de Jeretuguia, dichiarò di continuare a sentirsi perseguitata dalle streghe, di vedere il Diavolo ed alcuni demoni in casa che, cacciati via, si vendicavano distruggendo l'orto ed il mulino.
Contestualmente a Zugarramurdi il panico esplose e nel gennaio 1609 alcuni contadini fecero irruzione nelle abitazioni di altri compaesani sospettati di stregoneria: Miguel de Goibiru, Estevania de Yriarte e Graciana de Barrenecheca. A quel punto iniziarono a susseguirsi confessioni spontanee nella chiesa di Zugarramurdi. Si trattava di persone appartenenti alle stesse famiglia, segno che la pratica della stregoneria era ritenuta "ereditaria".
Se in un primo momento i monaci di Urdax tentarono di risolvere la questione autonomamente, essi si risolsero, di fronte all'estendersi del panico,a chiedere l'intervento dell'Inquisizione di Logroño, competente sul territorio.
I due inquisitori Alonso Becerra Holguín e Juan Valle Alvarado ebbero dapprima l'impressione di trovarsi davanti ad una setta di eretici piuttosto che davanti ad una congrega di streghe, ma le confessioni spontanee di quattro imputate, rese senza il ricorso alla tortura, convinsero i due inquisitori dell'effettiva esistenza di una setta stregonesca.
Quindi la caccia alle streghe si estese, con il ricorso alla tortura. Alcune confessioni rilasciate, con molti particolari coincidenti tra loro, descrivevano i riti e l'organizzazione sociale della setta stregonesca con una precisione ed una ricchezza di particolari difficilmente eguagliate in altri processi per stregoneria.
Il diavolo era descritto come un dio cornuto. Al sabba ci si riferiva impiegando il termine aquelarr (in basco aker significa caprone e larre significa prato). Prima di recarsi al sabba le streghe si cospargevano di un unguento verde; l'unguento era tratto da un rospo donato dal diavolo stesso; all'incontro con il diavolo seguiva una danza notturna; venivano praticati rapporti sessuali con il demonio e veniva celabrata una sorta di messa nera che prevedeva la profanazione dell'ostia. Venivano disseppelliti cadaveri e le loro loro carni erano cotte durante il sabba; dai genitali si ottenevano veleni (in particolare cuocendoli con la belladonna si otteneva un liquido giallo). Si fabbricavano anche polveri con rospi, bisce, lucertole e salamandre. La setta sarebbe stata dedita a maleficiare le persone, adoperando polveri mescolate nelle pelli di rospo, unguenti che provocavano malesseri come il vomito o la morte. Le polveri servivano anche per rovinare i raccolti, a provocare la moria del bestiame e le tempeste.
A partire dal giugno 1609 anche un terzo inquisitore, Alonso de Salazar y Frías, iniziò a occuparsi della persecuzione della setta di streghe basche. Ma Salazar con il passare del tempo si dimostrò sempre più scettico sull'intera vicenda e nel giugno 1610 sostenne di fronte agli altri giudici che le prove fossero insufficienti per condannare gli imputati.
Alla fine si giunse a undici condanne al rogo (su trentuno individui ritenuti colpevoli; coloro cui fu risparmiato il rogo subirono condanne al carcere perpetuo o ad altre pene detentive, oltre che a penitenze varie). I roghi veri e propri celebrati durante l'autodafé di Logroño del novembre 1610, che pose fine alla prima fase della persecuzione, furono sei (cinque donne di età compresa tra i 54 e i 70 anni e un uomo di 50 anni), in quanto cinque persone condannate erano già morte in carcere e furono quindi bruciate in effigie. Nell'autodafé perirono sul rogo María Arburu (70 anni), María Baztan Borda (58 anni), Gradiana Xarra (66 anni), María Etxatxute (54 anni), Domingo Zubildegi (50 anni). Le persone morte in carcere senza aver mostrato segni di pentimento e quindi bruciate in effigie furono Maria Etxaleku (40 anni), Estebania Petrisanzena (37 anni), Joanes Etxegi (68 anni), Joanes Odia Beretxea (60 anni), María de Zozaya (80 anni). Altre sette persone erano morte in prigione dopo essersi pentite e ai loro resti fu concessa sepoltura cristiana.

La seconda fase (1610-1614): un'Inquisizione scettica

Una seconda fase della caccia alle streghe si aprì nell'autunno del 1610. La campagna di cristianizzazione finalizzata ad estirpare i riti e le credenze pagane ancora presenti in Spagna settentrionale aveva condotto nei villaggi della zona alcuni predicatori, ed i loro sermoni enfatici e suggestivi avevano dato origine ad un'epidemia onirica dagli esisti disastrosi. Alcune ragazze, nel sostenere di avere visto dei bambini trascinare al sabba altri bambini, trascinarono un numero impressionante di essi. In breve tempo l'Inquisizione perse il controllo della situazione di fronte all'isteria collettiva nella quale cadde la popolazione locale. Fu provvidenziale l'intervento dell'inquisitore Salazar che, dopo avere richiamato gli abitanti dei villaggi baschi alla calma, decise di avviare alcuni esperimenti scientifici per dimostrare, senza lasciare adito a dubbi, come la persecuzione delle streghe non avesse alcuna ragione di esistere. In prima istanza si rivolse al noto umanista Pedro de Valencia, convinto che le deposizioni delle streghe fossero solo fantasie. Gli unguenti da loro usati, sosteneva questi, avevano delle componenti allucinogene e velenose come la mandragora e la cicuta. Per questo motivo, continuava l'umanista, medici e farmacisti erano tenuti ad esaminarli per eliminare qualsiasi dubbio in merito, così come era necessario che sempre i medici valutassero se le sospette streghe fossero al pieno delle proprie facoltà mentali .
A quel punto, seguendo un metodo rigorosamente scientifico che non ha precedenti nella storia della stregoneria, Salazar mise in atto una serie di esperimenti volti a disinnescare sia il meccanismo persecutorio sia quello accusatorio. Dopo avere scelto alcune imputate, fece descrivere loro nei dettagli i luoghi del sabba, chiedendo loro di condurlo fisicamente nelle zone indicate: nessuna descrizione coincideva e molte indagate si dimostrarono confuse a riguardo, arrivando a contraddirsi tra loro. La seconda verifica era inerente agli unguenti rinvenuti dai giudici nelle abitazioni delle indagate oppure nelle immediate vicinanze. Salazar y Frias si rivolse ad alcuni medici chiedendo loro di esaminare i contenuti dei barattoli e di valutarne l'eventuale nocività. I medici, una volta condotto l'esame sulle varie sostanze, si resero conto in molti casi si trattava di lardo e fuliggine oppure di lardo e cenere o di prugne selvatiche cotte e spremute per ricavarne del succo. In un caso, decisero di somministrare uno di questi preparati ad una delle sospettate per valutarne la velenosità, ma la donna uscì indenne dall'esperimento .
Il ricorso ai medici da parte dell'Inquisizione rappresenta un elemento di particolare rilievo dal momento che sottolinea come la medicina avesse assunto un ruolo fondamentale all'interno della prassi giudiziaria. Per i giudici era diventato necessario non fare esclusivamente affidamento a quanto appreso dai manuali di demonologia e a quanto valutato in modo soggettivo, ma rivolgersi a periti che potessero dare una valutazione oggettiva e scientifica in merito.
Fu evidente allora che molte imputate, per evitare la tortura e dare maggior credito alle loro falsificazioni, si fossero servite di alcune sostanze per confezionare ipotetici unguenti velenosi.
Salazar concluse che tali preparati fossero assolutamente innocui e, una volta rientrato a Logroño, scrisse una relazione da inviare alla Suprema.
Dopo avere valutato anche le considerazioni di Becerra e Valle che si erano espressi in termini assolutamente contrari a quelli del loro collega, la Suprema decise di archiviare il caso riconoscendo l'innocenza degli imputati avallando la posizione di Salazar. La persecuzione era arrivata a toccare ben 1.800 persone, in buona parte bambini, tutte le quali furono prosciolte.
Questa violenta ondata persecutoria che si era abbattuta in Spagna settentrionale, nonostante si fosse risolta nel migliore dei modi, ebbe un eco particolare tanto che ebbe come esito la stesura di una Istrucción, cioè un regolamento inquisitoriale specifico al quale attenersi nei casi di stregoneria, emanata dalla Suprema il 29 agosto 1614. Nel documento, che esprime tutta la perplessità dell'Inquisizione Spagnola nei confronti della stregoneria, si presta molta attenzione alla ricerca delle prove, soprattutto in quei casi di maleficium che implicavano un omicidio. Proprio il primo articolo imponeva:

Che gli inquisitori indaghino e si informino se i decessi dei bambini e delle persone che le streghe confessano di avere ucciso siano avvenuti nei giorni e nelle notti che costoro indicano, o se fossero malati in precedenza, o se avessero qualche indisposizione o causa violenta e naturale per la quale morirono, secondo l'opinione dei periti.

I “periti” non erano altro che i medici, obbligati, in questi casi, ad esaminare i cadaveri dei deceduti ai fini di una valutazione sulle reali cause e tempi del decesso. Naturalmente, una discordanza tra le dichiarazioni della presunta strega ed i riscontri del medico rendeva poco credibile quanto confessato dall'imputata.
Tali norme, che obbligavano il ricorso ai medici nei casi di sospetta stregoneria, oltrepassarono i Pirenei e furono incluse anche nella celebre Instructio pro formandis processibus in causis strigum, sortilegiorum et maleficorum, redatta negli ambienti dell'Inquisizione romana intorno al 1620 e finalizzata a gestire correttamente la prassi giudiziaria nei casi di stregoneria. Questa disposizione a lungo attribuita al cardinale Desiderio Scaglia, ma in realtà opera del fiscale del Sant'Uffizio Giulio Monterenzi, iniziò a circolare in forma manoscritta subito dopo la sua stesura e comportò cambiamenti non indifferenti nella giurisprudenza inquisitoriale.

Bibliografia

  • Livio Ciappetta, Paesi Baschi, caccia alle streghe nei, in DSI, vol. 3, pp. 1155-1157.
  • Gustav Henningsen, The Witches' Advocate. Basque Witchcraft and the Spanish Inquisition, University of Nevada Press, Reno 1980 (traduz. italiana: L'avvocato delle streghe. Eretici e inquisitori nella Spagna del Seicento, Garzanti, Milano 1990).
  • Robert Mandrou, Magistrats et sorciers en France au XVIIe siècle. Une analyse de psychologie historique, Pion, Paris 1968 (traduz. italiana: Magistrati e streghe nella Francia del Seicento. Un’analisi di psicologia storica, Laterza, Roma-Bari, 3 voll. 1971).
  • Domizia Weber, La caccia alle streghe nei Paesi Baschi: esperimenti scientifici per l'Inquisizione Spagnola, in "Rivista di Storia della Medicina, XXIII, N.S. (XLIV), fasc. 1, pp. 175-181.
  • Mikel Zabala, Brujería y Inquisición en Bizkaia, siglos XVI y XVII, Ekain, Bilbao 2000.

Voci correlate

Nota bene

Il capitolo "La prima fase (1608-1610): repressione e autodafé" è stato redatto da Daniele Santarelli, mentre il capitolo "La seconda fase (1610-1614): un'Inquisizione scettica" è stato redatto da Domizia Weber.

Article written by Daniele Santarelli & Domizia Weber | Ereticopedia.org © 2022

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

thumbnail?id=1_usu8DkYtjVJReospyXXSN9GsF3XV_bi&sz=w1000
The content of this website is licensed under Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) License