Cenci, Beatrice

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Beatrice Cenci (Roma, 6 febbraio 1577 – Roma, 11 settembre 1599) è stata una nobildonna romana giustiziata per parricidio.

Biografia

L'ambiente familiare

Il cognome Cenci appartiene a una delle più antiche famiglie di origine comunale, attestata fin dal XVI secolo tra i rioni Regola e Sant'Angelo di Roma. Le origini del cognome Cenci rimandano all'antica "gens Cincia", ovvero ai discendenti di Lucio Cincio Alimento, storico e politico romano vissuto nel III secolo a.C.; ulteriore ipotesi lo collega a un Cencio del ramo dei Crescenzi, che ebbero alte cariche prefettizie nel Medioevo. Il censimento del 1526-27 inserisce la famiglia Cenci tra quelle della nobiltà cittadina non legata alla Curia. Similmente a molte altre famiglie nobili dell’epoca, i Cenci dovevano la loro ricchezza economica allo sfruttamento delle proprietà terriere, al commercio e alle attività bancarie.
Appartenente a questa dinastia, Beatrice Cenci era figlia del conte Francesco Cenci e di Ersilia Santacroce1. In seguito alla morte della madre, alla giovane età di 7 anni, nel giugno del 1584, venne obbligata a ritirarsi presso il convento delle monache francescane di Santa Croce in Montecitorio, insieme alla sorella maggiore Antonina. Vi restò fino all’età di quindici anni, ricevendo un’educazione modesta nonostante le sue nobili origini.
Una volta tornata nella propria casa natale trovò ad attenderla un ambiente poco ospitale, nel quale imperversava una pesante crisi familiare: il padre, noto per i suoi modi violenti, non risparmiò infatti sofferenze nemmeno alla giovane Beatrice. La crisi dipendeva sia da ragioni di natura economica che dal carattere violento e manesco del padre. Infatti, si ha notizia che i tre figli più grandi, Giacomo, Cristoforo e Rocco, erano in rotta col padre perché egli negava loro il denaro necessario per mantenersi, e li costringeva a una vita di debiti e povertà. Un diverbio che portò i tre fratelli ad intentare e vincere una causa contro il proprio padre per ottenere gli alimenti. Lo scontro si acuì nel 1594, quando Francesco Cenci subì un processo per sodomia nei confronti del figlio di un rigattiere, conclusosi con la condanna al pagamento di centomila scudi e alla reclusione in carcere per omicidio. Con il pagamento della multa per ottenere l'estinzione del procedimento, il condannato riuscì a uscire dal carcere soltanto tre mesi dopo. Nel frattempo, i tre fratelli di Beatrice sfruttarono l’occasione per rivolgersi a papa Clemente VIII, chiedendo la separazione definitiva dei beni di famiglia e la possibilità di dare a tutti loro una sistemazione adeguata. A tal richiesta, Clemente VIII rispose assegnando loro le rendite di alcune terre paterne. Dopo tale affronto, il padre li accusò di tentato omicidio: dei tre, fu Giacomo a risponderne maggiormente, sebbene uscì pulito dall’indagine grazie a un testimone a suo favore. In seguito, il padre lo querelò di nuovo ma inutilmente per aver corrotto e comprato testimoni a suo sfavore nel processo per sodomia.
Lo stesso anno, Francesco Cenci convolò a seconde nozze con Lucrezia Petroni, dalla quale però non ebbe nessun figlio.

L’esilio alla Rocca di Petrella Salto

“Voglio che crepi qua su”2

Nell'aprile del 1595 Francesco Cenci rinchiuse la figlia Beatrice e la sua seconda moglie nella rocca di Petrella Salto, un piccolo paese tra Rieti e Avezzano, nel territorio del Regno di Napoli, dove rimase segregata in compagnia di alcuni servi, in un piccolo castello del Cicolano, chiamato la Rocca, di proprietà della famiglia Colonna. I motivi che spinsero Francesco Cenci a questa terribile decisione sono legati alla scoperta dell’intento della moglie Lucrezia di far sposare la giovane Beatrice. Infatti, costei, sperando di salvare la figliastra, introdusse in casa monsignor Guerra, un giovane avviato alla carriera ecclesiastica ed addetto alla Corte del papa, con il compito di trovarle un degno marito. La reclusione nella Rocca, evitò al padre di trovarsi nella condizione di dover dare il consenso a un matrimonio per il quale non poteva pagare un’adeguata dote. Inoltre, le preoccupazioni per il recente dissesto economico lo portarono a allontanare da sé anche i due figli più piccoli, Bernardo e Paolo, mettendoli "a dozzina" da un prete.
Nell’esilio forzato a Petrella Salto, l'infelice Beatrice subì gli stessi trattamenti di una carcerata e probabilmente subì violenza carnale, nonostante nel processo non ne viene fatta esplicita menzione. Esasperata dalla situazione, prese a spedire lettere d'aiuto ai suoi parenti a Roma. Nel dicembre del 1597 ne indirizzò una al fratello Giacomo, che poi purtroppo finì nelle mani del padre, nella quale lo implorava di trovarle marito o di trasferirla in un monastero.
Fu allora che la situazione peggiorò quando Francesco, malato di rogna e di gotta, per fuggire anche alle richieste pressanti dei creditori, tornò a Petrella Salto, con i figli minori Bernardo e Paolo.

L'omicidio

In quel periodo la Cenci, colma d'odio nei confronti del suo violento padre, iniziò a considerare il proposito di ucciderlo con l'aiuto della matrigna Lucrezia, del fratello Giacomo, del castellano Olimpio Calvetti, forse suo amante, e del maniscalco Marzio da Fioran detto il Catalano.
Inizialmente, la Cenci tentò di mettersi in contatto con i banditi della zona, che avrebbero dovuto assaltare Francesco Cenci durante uno dei suoi viaggi. Tuttavia, le trattative non andarono a buon fine e Beatrice dovette pianificare una soluzione alternativa. Dapprima pensò all’avvelenamento, ma il padre, consapevole di aver molti nemici, anche nelle mura domestiche, prese l’abitudine a far assaggiare preliminarmente ogni piatto a lui destinato dai suoi familiari. Giunse allora alla conclusione che l’unico modo per liberarsi del padre fosse di ammazzarlo nel sonno. Alle prime luci dell’alba del 9 settembre 1598, Francesco Cenci, drogato d’oppio, venne ucciso a martellate dai due sicari, Olimpio Calvetti e Marzio Catalano.
Per simulare una disgrazia, Beatrice Cenci propose ai suoi complici di sfondare il pavimento di un balcone di legno situato nella stanza della vittima e, da lì, far cadere il corpo nella macchia sottostante.
Il giorno seguente, Lucrezia e Beatrice, insieme agli altri due complici, fecero ritorno a Roma.

Il processo

Le indagini si rivelarono sin da subito più complicate del previsto.
Il territorio di Petrella Salva faceva parte di un feudo la cui giurisdizione era sotto il Regno di Napoli. Le prime indagini vennero perciò eseguite dal commissario Marzio Colonna, Biagio Querco, insieme a Carlo Tirone, Luogotenente del Tribunale di Campagna d’Abruzzo. Tuttavia, gli indiziati, che avevano prontamente deciso di tornare a Roma, facevano parte della nobiltà romana e, secondo le leggi dell’epoca, dovevano esser giudicati dai tribunali della giurisdizione papale. L’attribuzione della causa venne affidata al Tribunale del Vicario, nel quale allora era titolare il cardinale Girolamo Rusticucci. Ad aiutarlo, vi erano Pompeo Molella, procuratore fiscale, e Ulisse Moscato, luogotenente.
Dalla lacunosa documentazione sul caso, sembra che il crimine fosse stato denunciato nei giorni seguenti dalle donne del contado che sin da subito sospettarono di Beatrice e Lucrezia. Da quelle prime diffamazioni, all’inizio della inquisitio generalis, ovvero della fase investigativa del processo, è necessario attendere fino al 5 novembre 1598.
Bastarono pochi interrogatori per convincere il cardinale Rusticucci a dare inizio all’inquisitio specialis, ordinando la reclusione delle due donne nel loro palazzo a Sant’Eustachio, insieme a quella dei due fratelli, Giacomo e Bernardo, e di Marzio Catalano nel carcere di Tor di Nona. Nel frattempo, Olimpio Calvetti si era dato alla latitanza.
In seguito al ritrovamento da parte del commissario Biagio Querco delle lenzuola coperte del sangue di Francesco Cenci, nel dicembre del 1598 venne dato ordine di riesumare il corpo della vittima per esaminare le condizioni del cranio. Nel gennaio del 1599, il conte de Olivares, governatore del Regno di Napoli, dava l’ordine di arrestare i colpevoli. Ciò nonostante, nel conflitto giurisdizionale tra i due tribunali ebbe la meglio il tribunale romano, poiché riuscì a catturare a Poggio Fiano uno dei sospettati, Marzio Fiano, che si era nascosto nella casa della sorella.
Inizialmente, nel suo interrogatorio confermò la versione dell’incidente, ma rivelando che più volte Beatrice Cenci gli aveva proposto di: “andare assieme con lei, che si voleva fuggire con me, et che ne saressimo andati lontano, che lei aveva tre sacchetti di denari da spendere, una croce d’argento, due calici, dieci anelli d’oro, un bocale, un bocale d’argento et vestimenti et che avremmo avuto denari assai da spendere […]; et che lei non voleva star più in quella vita perché nessuno pensava volerla maritare, né il padre né li fratelli e che se non trovava rimedio se voleva ammazzare da se stessa”3. In seguito, ammise di esser stato contattato sia da Olimpio che da Beatrice per partecipare all’omicidio di Francesco Cenci.
Mentre la matassa degli eventi legati all’omicidio di Francesco Cenci si stava pian piano dipanando, venne ucciso Olimpio Calvetti, probabilmente per ordine del fratello Giacomo. Gli altri imputanti intanto tennero fede alla primitiva versione, fintanto che il magistrato non ebbe abbastanza prove per sottoporre alla tortura i membri della famiglia Cenci. All’atroce dolore della tortura inflitta, uno dopo l’altro, tutti i Cenci cedettero e ammisero la loro colpevolezza. Giacomo e Lucrezia tentarono di trovare un attenuante al misfatto, addossando tutta la colpa su Beatrice; al contrario, Beatrice, il 19 agosto 1599, durante il suo interrogatorio, rimase più lucida e ferma degli altri due, sostenendo che il colpevole era Olimpio, ormai morto.
Una volta raccolte tutte le confessioni degli imputati, ebbe inizio la fase difensiva del processo. I Cenci scelsero come loro difensori due dei più rinomati giuristi dell’epoca, Prospero Farinacci e Pianca Coronato de' Coronati. Nelle loro arringhe la responsabilità dell’omicidio venne attribuita quasi completamente alla figura di Beatrice Cenci, che però non doveva essere punita perché mossa dall’odio per il padre che l’aveva ripetutamente violentata. Neppure gli altri meritavano la morte perché avevano semplicemente sostenuto i giusti propositi di vendetta di Beatrice.
La debole difesa dei Cenci e l’allora situazione politica romana non aiutarono gli imputati: il 5 settembre 1599, papa Clemente VIII decise di punire i colpevoli dell’omicidio di Francesco Cenci in maniera esemplare. Tutti i membri della famiglia Cenci vennero così privati del titolo nobiliare, i loro beni vennero confiscati e messi all’asta. L’11 settembre 1599 Lucrezia Petroni, Giacomo e Beatrice Cenci vennero decapitati. Bernardo, invece, ebbe salva la vita ma venne recluso nelle galere papali, dopo aver assistito all'esecuzione dei suoi.
Le spoglie di Beatrice Cenci vennero raccolte dalla Confraternita di San Giovanni Decollato, che le portò in processione fino alla chiesa di San Pietro in Montorio, dove venne seppellita. Sulla sua lapide non venne posta alcuna iscrizione, come era d'uso per i giustiziati. Da allora, secondo la leggenda, ogni 11 settembre il fantasma della sfortunata Beatrice compare sugli spalti della Rocca di Petrella Salto e su quelli di Castel Sant’Angelo. Nel 1798, durante l'occupazione francese, la sua lapide venne trafugata dai soldati dell’esercito di Napoleone per recuperare il piombo delle bare.

Filmografia

  • 1908 – Béatrix Cenci. Regia di Albert Capellani. Soggetto e sceneggiatura di Giuseppe Rota. Cast: Stacia Napierkowska (Béatrix) e Henri Desfontaines (Francesco Cenci). Produzione: Pathé Frères, Parigi. Lunghezza: 225 metri. Colorato a mano.
  • 1909 – Beatrice Cenci. Regia di Mario Camerini. Cast: Fernanda Negri (Beatrice), Maria Gasperini (Lucrezia), Ettore Pesci, Alessandro Rinaldi, Renato de Grais. Produzione: Cines, Roma. Lunghezza: 315 metri. Bianco e nero.
  • 1910 – Beatrice Cenci. Regia di Ugo Falena. Cast: Maria Jacobini. Film muto in bianco e nero.
  • 1913 – Beatrice Cenci. Regia di Baldassare Negroni. Produzione e soggetto: Baldassarre Negroni. Film muto in bianco e nero.
  • 1926 – Beatrice Cenci. Regia di Baldassarre Negroni. Soggetto e sceneggiatura di Luciano Doria e Torello Rolli.
  • 1941 – Beatrice Cenci. Regia di Guido Brignone. Soggetto e sceneggiatura di Tomaso Smith.
  • 1956 – Beatrice Cenci (Le château des amants maudits). Regia di Riccardo Freda. Soggetto di Attilio Riccio. Sceneggiatura di Jacques Remy e Filippo Sanjust.
  • 1969 – Beatrice Cenci (https://www.youtube.com/watch?v=3tnWXBBeFOg). Regia di Lucio Fulci. Soggetto e sceneggiatura di Lucio Fulci e Roberto Gianviti.
  • 1987 – La Passion Béatrice (Quarto comandamento). Regia e soggetto di Bertrand Tavernier. Sceneggiatura di Colo O’Hagan.

Bibliografia

  • A. Bertolotti, Francesco Cenci e la sua famiglia, Tipografia della Gazzetta d'Italia, Firenze 1879.
  • L. von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, vol. XI, Clemente VIII (1592-1605), Desclée, Roma 1929, pp. 626-629.
  • I. Rinieri, Beatrice Cenci secondo i costituti del suo processo: storia di una leggenda, Tipogr. pontificia S. Bernardino, Siena 1909.
  • L. Caiani, Cenci, Beatrice, in DBI, vol. 23 (1979).
  • M. Bevilacqua, E. Mori, Beatrice Cenci: la storia, il mito, Viella, Roma 1999.
  • M. Di Sivo (a cura di), I Cenci: nobiltà di sangue, Fondazione Marco Besso-Colombo, Roma 2002.
  • B. Jack, Beatrice's Spell:The Enduring Legend of Beatrice Cenci, Random House, London 2005.

Voci correlate

Article written by Sonia Isidori | Ereticopedia.org © 2013-2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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