Anna di Clèves

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Anna di Clèves (Düsseldorf, 22 settembre 1515 – Londra, 16 luglio 1557) è stata una duchessa tedesca e per pochi mesi regina consorte d’Inghilterra e Irlanda, in quanto quarta moglie del sovrano Enrico VIII Tudor, nel 1540.

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Infanzia e giovinezza

Anna di Clèves fu la quarta moglie del sovrano inglese Enrico VIII e forse colei che, tra le sei totali consorti del re, ebbe il destino migliore: dopo appena sei mesi di matrimonio, il re fece annullare le nozze e da allora Anna, denominata con il curioso appellativo di “sorella del re”, visse in Inghilterra nella più totale libertà, mantenendo rapporti cordiali sia con Enrico sia con le sue due figlie, Maria ed Elisabetta.
Nata nel settembre 1515 a Düsseldorf, Anna era la secondogenita di Giovanni III, duca di Jülich-Kleve-Berg, e della principessa Maria di Jülich-Berg, che con il loro matrimonio avevano riunito tutti i territori costituiti da vari elettorati e vescovati in un’unica signoria, il ducato di Clèves (o Kleve), con capitale Düsseldorf. I conti di Clèves «facevano risalire le loro origini all'undicesimo secolo, quando, secondo la leggenda, un cavaliere era apparso agli eroi di Clèves su una imbarcazione trainata da cigni - da cui il successivo inserimento del cigno nello stemma di famiglia.»1 Nel Quattrocento, poi, sotto la famiglia di Mark, il contado era stato trasformato ed elevato a ducato, fino ad arrivare nelle mani di Giovanni III.
Da parte di padre, Anna poteva vantare sangue reale inglese, in quanto Giovanni III era discendente da Edoardo I e dalla sua prima moglie, Eleonora di Castiglia, la cui figlia Margherita era andata in sposa al duca di Brabante; da parte di madre, invece, aveva alle spalle tutta una serie di principesse tedesche, tra cui spiccavano i nomi di Sibilla di Brandeburgo, Sofia di Sassonia e Adelaide di Teck.
Anna trascorse la sua infanzia a Schloss Burg, vicino a Solingen, insieme alla sorella maggiore Sibilla, alla sorella minore Amelia e al fratello Guglielmo.
Dopo il matrimonio della sorella maggiore con Giovanni Federico, Elettore di Sassonia e capo della Confederazione Protestante della Germania, appellato come “Campione della Riforma”, Anna, a soli undici anni, fu promessa sposa a Francesco di Lorena, figlio ed erede del duca di Lorena, più giovane di due anni, anche se nel 1535 il fidanzamento, considerato non ufficiale, fu annullato.
La giovane duchessa non ricevette un’educazione adeguata: imparò a malapena a leggere e a scrivere ma solo nella propria lingua, il dutch, il dialetto germanico dei Paesi Bassi, e non apprese né il latino, né il francese, né l’inglese. Non era appassionata di musica e non imparò né a cantare né a suonare; inoltre, non aveva alcun interesse per la lettura, non era mai stata a caccia e la sua attività preferita era passeggiare tranquillamente in giardino. Non possedeva una gran cultura o delle doti diplomatiche, come Caterina d’Aragona, prima moglie del re inglese, e non era capace di mostrarsi affascinante e civettuola, come Anna Bolena, la seconda consorte di Enrico VIII. «Di temperamento cortese e di carattere semplice, era avvezza a condurre una vita ritirata e tranquilla sotto la guida di una madre severa e possessiva»2, che le aveva insegnato a gestire l’economia domestica e l’arte del cucito e del ricamo, in cui era molto brava. Quanto alla religione, Anna e i suoi fratelli erano luterani, mentre il padre Giovanni era un protestante moderato, seguace di Erasmo da Rotterdam, e la madre Maria era una cattolica convinta.
Anna visse la sua intera giovinezza nella più totale obbedienza al padre e alla famiglia, usata come pedina negli intrecci matrimoniali a favore del suo ducato e non pensando mai che un giorno sarebbe potuta diventare regina d’Inghilterra.

I preparativi matrimoniali e l’arrivo in Inghilterra

Nel 1538 Giovanni III morì e a succedergli fu suo figlio Guglielmo, che era in lotta con l’imperatore Carlo V per il possesso del ducato di Gheldria. Quando l’imperatore riuscì ad ottenere il controllo di tale ducato, Guglielmo iniziò a pensare a una strategia matrimoniale che coinvolgesse anche le sorelle per poter ottenere preziosi alleati.
Anna aveva ventitré anni, era timida ed estranea alle faccende del mondo e iniziava ad essere ritenuta troppo vecchia per un matrimonio; inoltre, non era di bellissimo aspetto, pur essendo alta, bionda e slanciata e con modi gentili e modesti. Non era esperta delle raffinatezze e degli intrighi della corte inglese e non aveva il fascino o l’esperienza per poter sedurre un marito corpulento, irascibile e di quasi venticinque anni più anziano di lei. Nonostante ciò, Guglielmo iniziò a prendere accordi con il cancelliere inglese Cromwell per una possibile unione tra il re Enrico VIII, ormai vedovo dopo la morte della sua terza moglie, Jane Seymour, e sua sorella Anna.
Rassicurato da Cromwell, il re acconsentì ad inviare al ducato alcuni ambasciatori inglesi, per esaminare ed osservare da vicino sia Anna che sua sorella Amelia, ma le due fanciulle si presentarono completamente coperte da capo a piedi con abiti grossi e pesanti, tanto che gli ambasciatori non riuscirono a scorgere né la loro figura né il loro volto.
Intanto, le trattative matrimoniali procedevano e, alla fine, Enrico fu persuaso dal fidato Cromwell ad accettare l’unione con Anna senza nemmeno conoscere di persona la sua futura moglie: «gli fu sufficiente un ritratto per sceglierla.»3 Infatti, il pittore di corte di Enrico, Hans Holbein il Giovane, fu incaricato di recarsi nel ducato di Clèves e di ritrarre Anna, in modo che il re potesse valutare il suo aspetto. Il pittore fece del suo meglio per ritrarre la giovane duchessa, dipingendo il ritratto di una ragazza giovane e in salute, con un naso pronunciato e con una pelle liscia e bianca, omettendo le cicatrici da vaiolo che deturpavano il viso della giovane. Enrico VIII rimase abbastanza soddisfatto del ritratto e, sempre fidandosi di Cromwell, che descrisse Anna come una fanciulla dignitosa e regale, acconsentì a sposarla, mirando soprattutto ad ottenere una forte alleanza col duca di Clèves; infatti, «i possedimenti del duca erano prossimi a quelli degli Asburgo e si sarebbero rivelati utilissimi in caso di guerra, come utilissimi si sarebbero rivelati tutti i mercenari della zona che invece di combattere per Carlo sarebbero stati ora arruolati da Enrico.»4
Guglielmo così si affrettò a preparare il trattato di matrimonio, senza mai nemmeno una volta interpellare Anna, e lo inviò in Inghilterra, mentre cercava di racimolare la dote della sorella dai suoi vari territori. Non appena il trattato fu firmato dal re Enrico, la corte inglese si preparò ad accogliere la sua futura moglie: Cromwell richiamò una famiglia di musicisti ebrei veneziani, i Bassano, che introdussero l’uso del violino, mentre gli appartamenti reali vennero modificati in fretta per eliminare le iniziali della precedente moglie del sovrano, Jane, e per disegnare le iniziali e i simboli di Anna.
Si iniziò a pensare ed organizzare anche il viaggio che avrebbe portato la giovane duchessa dal suo futuro marito e sorsero i primi problemi: dal momento che sia la madre Maria che il fratello Guglielmo erano ancora in lutto per la morte del capostipite Giovanni III, nessuno dei due poteva accompagnare Anna in Inghilterra, che quindi avrebbe viaggiato sola insieme al suo seguito, salendo per la prima volta in vita sua su una nave. I funzionari di corte, allora, suggerirono di farla viaggiare via terra fino a Calais, di modo che la traversata marittima fosse più breve. Anna, così, viaggiò prima da Düsseldorf a Clèves e poi si spostò ad Anversa, dove fu ricevuta da dei mercanti inglesi e accompagnata a Calais, dove venne accolta dal governatore lord Lisle.
A Calais, Anna incontrò nobili e gentiluomini di camera del re Enrico, tra cui molti parenti della precedente regina, come Edward Seymour e Thomas Seymour, e un nuovo e importante favorito del sovrano, un certo Thomas Culpeper.
La futura regina era desiderosa di farsi benvolere e chiese che le fossero mostrate le navi della flotta reale, prodigandosi in gran complimenti, ben sapendo quanto ciò fosse apprezzato dal re inglese; inoltre, «chiese che le fossero insegnati i giochi di carte che più piacevano al re: le insegnarono a giocare a picchetto»5 e dimostrò di saper giocare bene e con grazia.
Da Calais, la duchessa effettuò la traversata verso Deal, con il vascello principale scortato da cinquanta navi: appena sbarcò, fu accolta dal duca e dalla duchessa di Suffolk e portata al castello di Dover per potersi rinfrescare e riposare; dopo la sosta, Anna proseguì per Canterbury, dove incontrò l’arcivescovo Cranmer, e venne ospitata nell'abbazia di St. Augustine per la notte.
Il 31 dicembre, infine, raggiunse Rochester, dove fu ospite nel palazzo del vescovo: a quel punto, il sovrano era altamente spazientito del ritardo di Anna e decise di lasciare Greenwich e recarsi a conoscere la sua futura sposa.
Il giorno di Capodanno, con la scusa di un regalo da consegnarle da parte del re, Anna fu raggiunta da uno sconosciuto, che non era altri che Enrico stesso travestito: la duchessa non solo non lo riconobbe ma, non conoscendo una parola d’inglese, non riuscì a conversare se non a fatica, dando anche l’impressione di annoiarsi. Quando poi il re, ancora sotto mentite spoglie, l’abbracciò all’improvviso, mostrandole il dono che doveva consegnarle, la duchessa rimase confusa e incredula e si allontanò di scatto. A quel punto, lo sconosciuto la lasciò sola, salvo ricomparire poco dopo abbigliato in maniera regale, mostrandosi come il sovrano d’Inghilterra: Anna si inchinò profondamente e provò ad avere una conversazione col sovrano, grazie all’aiuto di un interprete, mostrandosi timida e sottomessa. Nonostante ciò, non fece una buona impressione ad Enrico, soprattutto per il suo aspetto esteriore, tanto che il loro incontro fu molto breve e presto il re la lasciò nuovamente da sola, non chiedendo di rivederla, se non per gli incontri ufficiali, fino al giorno delle nozze.

Il matrimonio con il re Enrico VIII d’Inghilterra

Dopo la conversione della duchessa tedesca dal protestantesimo all’anglicanesimo, il giorno dell’Epifania del 1540, l’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, celebrò le nozze tra Anna di Clèves ed Enrico VIII nello “studio della regina” a Greenwich, dove il re aveva sposato anche Jane Seymour. Alla regina, il re donò un anello nuziale con inciso sopra il motto da lei scelto: “Dio mi conceda di conservare buona sorte”, quasi un presagio e una speranza per lo strano futuro che l’attendeva.
Dopo le nozze, i novelli sposi parteciparono ad una processione ed Anna indossò un abito d’argento ricoperto di pietre preziose, lasciando sciolti i lunghi capelli biondi con solo una «corona d’oro e pietre preziose, con trifogli simili a mazzi di rosmarino»6, simbolo di fedeltà coniugale. Seguì poi un banchetto e, verso sera, dopo altre celebrazioni e un masque (rappresentazione in cui ogni partecipante rivestiva un ruolo), i due sposi furono accompagnati nella camera da letto: Anna era completamente ignara di cosa accadesse tra una moglie e un marito e nemmeno sua madre aveva ritenuto opportuno spiegarle come avveniva la procreazione. Così, la prima notte di nozze, rimase distesa a letto, imbarazzata e confusa, mentre Enrico, impossibilitato a consumare il matrimonio per l’aspetto della sposa, si mise a dormire.
I giorni seguenti, Anna cercò di ambientarsi alla corte inglese, nonostante i pettegolezzi sulla non consumazione del matrimonio si fossero ormai già diffusi; la regina però non comprendeva ancora bene l’inglese e quindi ignorava la maggior parte dei commenti beffardi che le venivano rivolti, mostrandosi sempre serena e ben disposta. Conobbe, inoltre, tutti e tre i suoi figliastri: Maria, figlia della prima moglie del re, Caterina d’Aragona, che sarebbe diventata una delle sue amiche più intime; Elisabetta, figlia della seconda moglie del sovrano, Anna Bolena, ancora bambina; e il piccolo Edoardo, figlio della terza moglie di Enrico, Jane Seymour, di soli tre anni.
Trascorsi alcuni mesi, in cui la regina provò ad adeguarsi alla moda inglese, nonché ad imparare la lingua e le usanze di corte per meglio soddisfare suo marito, Anna capì che non sarebbe mai rimasta incinta, come tutta la corte si auspicava, dal momento che Enrico continuava solamente a dormirle accanto: da alcuni pettegolezzi delle sue dame di corte, tra cui lady Rutland e la viscontessa Rochford, aveva inteso, vista la sua totale inesperienza, che c’era qualcosa di più oltre il semplice dormirsi accanto per poter generare un erede. Così, rimase vigile e attenta, forse temendo di aver in qualche modo scontentato il re e provando ansia per il suo destino. La regina sapeva bene infatti cosa era capitato alle prime due mogli del sovrano e, soprattutto, ciò che era accaduto alla Bolena, processata e condannata a morte in poco tempo. Inoltre, non era stata ancora incoronata ufficialmente e la cerimonia, prevista originariamente per il mese di febbraio, non era mai stata organizzata, anche se Anna era stata comunque presentata formalmente al popolo inglese come regina.
Nonostante i pettegolezzi, però, Anna continuò a mostrarsi dignitosa e affettuosa nei confronti del marito, anche quando questi iniziò ad occhieggiare una delle sue giovanissime dame di corte, Caterina Howard, cugina di Anna Bolena, facendole presagire che forse il suo tempo come regina d’Inghilterra stava per terminare.

L’annullamento del matrimonio

Durante le celebrazioni della festa di Calendimaggio, Anna fece la sua ultima apparizione ufficiale come consorte reale. Nell’ultimo mese aveva ormai intuito che Enrico stava cercando un motivo qualsiasi per poter sciogliere il loro matrimonio, complice anche il suo interesse per la giovane Howard, ma continuava a mostrarsi regalmente in ogni occasione pubblica e privata.
Il 24 giugno, Anna venne inviata da Enrico al palazzo di Richmond, col pretesto che a Londra imperversava la peste e che di sicuro l’aria di campagna avrebbe giovato di più alla sua salute, permettendole di evitare qualsiasi contagio. In realtà, Anna sapeva ormai delle frequenti visite del marito a Caterina Howard e dei pettegolezzi che circolavano a corte su una loro storia d’amore, ma obbedì e si trasferì a Richmond, attendendo che anche Enrico la raggiungesse, come le aveva promesso.
Agli inizi di luglio, la regina fu raggiunta dalla notizia che il re non si sarebbe presentato al palazzo e che, anzi, stava cercando un modo per sciogliere il loro matrimonio, rispettando la legge di Dio e le loro stesse coscienze e provando a non offendere né lei né la sua famiglia.
La questione del matrimonio reale fu portata in Parlamento, dove venne presentato un cavillo riguardante il primo fidanzamento di Anna di Clèves col duca Francesco di Lorena, che secondo la legge non era stato davvero annullato ufficialmente e poteva quindi far risultare completamente non valido il matrimonio con il re Enrico. A ciò, si aggiungeva la testimonianza del re riguardo alla non consumazione del matrimonio con la regina Anna.
Lo stesso giorno in cui in Parlamento si affrontava la questione del suo matrimonio, la regina venne raggiunta a Richmond dagli uomini del Consiglio Privato del re, che, dopo averle spiegato minuziosamente cosa stava accadendo, le chiesero il consenso per procedere con l’istanza di divorzio: Anna si dimostrò accondiscendente e, anzi, «fu ben disposta ad acconsentire all’annullamento, prestando giuramento sul fatto che le nozze non fossero mai state consumate»7 e sottomettendosi completamente al volere del suo consorte.
Il re, felice della ragionevolezza della regina, scrisse immediatamente una lettera al clero per chiedere che il suo matrimonio fosse oggetto di indagine; contemporaneamente, nella Camera dei Lord, venivano dibattuti i tre punti a favore dello scioglimento matrimoniale, consistenti in un precedente contratto matrimoniale di Anna col duca di Lorena, nella testimonianza di Enrico di non aver mai consumato il matrimonio (testimonianza avallata anche dalla stessa Anna) e nella mancanza di consenso dello stesso re al matrimonio; Enrico, infatti, accusò Cromwell (che avrebbe poi pagato con la vita alla fine della causa di divorzio) di averlo costretto a sposare la duchessa tedesca nonostante le sue rimostranze, sorte in seguito al primo incontro tra il sovrano e Anna a Rochester.
Il 9 luglio 1540 il matrimonio tra Anna ed Enrico, durato appena sei mesi, venne dichiarato nullo, con la possibilità per entrambi di contrarre nuove unioni, mentre il 13 luglio fu ufficializzato il divorzio. Ancora una volta furono gli uomini del Consiglio Privato del re a raggiungere la ex regina per comunicarle il verdetto del Parlamento, informandola che lo stesso sovrano, da quel momento, l’avrebbe appellata come “amatissima sorella del re” e le avrebbe concesso il titolo di marchesa, titolo che le avrebbe dato la «precedenza su tutte le dame del regno, a eccezione della regina e delle figlie del re presenti e future»8. Anna, in risposa, scrisse al sovrano che accettava il verdetto espresso e la sua volontà, inviandogli anche l’anello nuziale e pregandolo di spezzarlo per meglio ratificare la fine della loro unione.
Come ricompensa per aver acconsentito senza problemi a sciogliere la loro unione, Anna ricevette una cospicua rendita annua di circa tremila sterline e alcune proprietà, tra cui il castello di Hever, prima appartenente alla famiglia Bolena, il castello di Bletchingly e il castello di Richmond, oltre che «servitù e mobili a sufficienza e un vasto assortimento di splendidi vestiti, gioielli e perle.»9 Inoltre, avrebbe potuto frequentare la corte inglese liberamente e godere della compagnia del re e delle sue figlie.
Un’unica condizione vincolante fu posta dal sovrano alla ormai ex regina, ossia che non abbandonasse l’Inghilterra e diventasse una suddita inglese, cosa che Anna accettò di buon grado: tornare a Clèves l’avrebbe sicuramente esposta alla collera del fratello Guglielmo, se non addirittura alla sua violenza, e l’unica prospettiva sarebbe stata quella di vivere passivamente come donna nubile, senza libertà e mezzi; perciò, «se doveva scegliere tra l’indifferenza del “fratello” Enrico e la vendetta del fratello naturale, preferiva senz’altro la prima.»10 Così, scrisse al fratello per comunicargli la sua nuova condizione e la decisione di voler rimanere sul suolo inglese, dopodiché divenne finalmente libera di iniziare la sua nuova vita.

La vita successiva e la morte

Nonostante il divorzio, Anna continuò comunque a frequentare la corte inglese e a scambiarsi doni con il sovrano, in segno di affetto ed amicizia. Divenne molto amica di Maria, sua ex figliastra, e fu un punto di riferimento anche per la più piccola Elisabetta, che divenne un’ospite frequente al castello di Richmond, dove alloggiava Anna.
La ex regina, inoltre, non fu affatto dispiaciuta del nuovo matrimonio del sovrano con Caterina Howard, un tempo sua dama, e, anzi, poco tempo dopo le nozze andò personalmente a far visita ai novelli sposi. Inoltre, durante le celebrazioni del Natale 1540, le due donne trascorsero quasi tutte le sere a danzare e a divertirsi, mentre Enrico, ormai stanco, si ritirava per dormire. E quando il re, durante una cena con la regina e con Anna, consegnò a Caterina dei regali, «un anello e due cani di piccola taglia, lei li passò generosamente a Lady Anna»11, a dimostrazione di come le due donne andassero d’accordo.
Ormai, Anna si era completamente ambientata in Inghilterra: aveva imparato meglio la lingua e le tradizioni inglesi, godeva di ampia libertà e prestigio e poteva vivere nel modo in cui meglio le piaceva, godendosi il buon vino e il cibo.
Quando però il re si liberò dopo pochi anni della sua quinta moglie, facendole fare la stessa fine della cugina Anna Bolena, il fratello di Anna -e forse anche lei stessa- propose al re di riprendere proprio la ex regina come moglie, per ristabilire l’unione precedente. Enrico, però, rifiutò e Anna continuò ad essere la “sorella” del re e a mantenere i suoi privilegi anche dopo il sesto matrimonio di Enrico con Caterina Parr, con cui Anna però non ebbe grandi rapporti, preferendo rimanere in disparte fino alla morte del sovrano nel 1547.
Durante il regno del giovane Edoardo VI, la duchessa non frequentò la corte, ma rimase a godersi le sue proprietà, intrattenendo una regolare corrispondenza sia con Maria che con Elisabetta. Quando poi Edoardo VI morì e salì al trono Maria I Tudor, Anna la accompagnò, insieme ad Elisabetta, nel trasferimento dal St. James Palace a Whitehall; inoltre, fu anche tra gli ospiti d’onore all’incoronazione ufficiale di Maria I nell’Abbazia di Westminster. Pochi mesi dopo, in occasione delle nozze tra Maria I e Filippo II di Spagna, Anna scrisse alla regina per augurarle una vita felice e la benedizione di avere presto dei figli, mostrandosi ancora una volta affezionata alla sua ex figliastra.
In realtà, con la morte di Enrico, Anna si era ritrovata più di una volta in ristrettezze economiche, volendo condurre una vita lussuosa e dispendiosa, e, con l’avvento di Maria sul trono, con cui aveva sempre avuto un rapporto amichevole, sperava di migliorare la sua situazione. Per meglio perorare la sua causa, infatti, si adeguò alla nuova corrente religiosa istituita da Maria, convertendosi al cattolicesimo. Dopo un breve ritorno a corte, però, la duchessa tedesca perse il favore della regina in seguito alla rivolta guidata da Thomas Wyatt il Giovane, poiché, non avendo mai cessato i contatti e la corrispondenza con la giovane Elisabetta, sospettata di simpatie protestanti, la sovrana Tudor credette che Anna fosse a conoscenza del complotto e avesse in qualche modo cercato di favorire la sua stessa sorellastra. Così, Anna preferì ritirarsi nei suoi palazzi, dove sempre più spesso, pur conducendo una vita tranquilla e comoda, veniva colta da attacchi di nostalgia per il suo paese natio.
Nei primi mesi del 1557, la salute della duchessa cominciò a peggiorare e le fu concesso dalla regina di ritirarsi a Chelsea Old Manor, lo stesso luogo dove Caterina Parr aveva vissuto il suo ultimo e breve matrimonio con Thomas Seymour, prima di morire di parto.
Sentendosi sempre più debole, Anna si decise a fare testamento, in cui menzionò il fratello Guglielmo, la sorella Amelia, la cognata e varie nobildonne di corte, e a dare le sue ultime disposizioni, in modo da non lasciare i suoi servitori e le sue dame senza un adeguato compenso. Scrisse poi alla regina Maria, cui lasciò il suo miglior gioiello, per renderla partecipe delle sue ultime volontà e per chiederle che venissero rispettate.
La mattina del 16 luglio 1557, Anna di Clèves moriva a quarantadue anni, «senza vedere il trionfo della sua beniamina, Elisabetta»12, a cui lasciò come segno del suo affetto un suo gioiello.
Non venne citata alcuna causa specifica per la sua morte, ma il lento decorso della malattia fece supporre che si fosse spenta per un cancro, forse alle ovaie.
Il Consiglio Reale preparò con cura il funerale, che si svolse il 4 agosto: il feretro venne portato all’Abbazia di Westminster, scortato da un numeroso corteo parato a lutto, e fu traslato nella tomba situata tra il coro e il transetto occidentale, nei pressi dell’altare principale e dalla parte opposta alla tomba di Edoardo il Confessore; sulla lapide vennero apposte le insegne della defunta e il motto della Casata di Clèves, “Spes mea in Deo est” (La mia speranza riposa in Dio), oltre all’epigrafe “Anna di Clèves. Regina d’Inghilterra”.
Terminava così la vita della più fortunata delle mogli di Enrico VIII, che, regina per soli sei mesi, aveva ben saputo accontentare il re nella sua richiesta di divorzio, diventando una donna indipendente e libera, al riparo dalla furia e dai mutamenti d’umore del re, e trascorrendo la sua vita come una delle persone più importanti del regno, ultima a morire tra le sei mogli del sovrano inglese.

Bibliografia

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  • Andrea Accorsi, Daniela Ferro, Le famiglie più malvagie della storia, Newton Compton Editori, Roma, 2013.
  • Andrea Antonioli, Il secolo d’oro del Rinascimento, Newton Compton Editori, Roma, 2017.
  • Antonia Fraser, Le sei mogli di Enrico VIII, Mondadori, Milano, 1992.
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  • Cinzia Giorgio, Amori reali, Newton Compton Editori, Roma, 2018.
  • David Loades, The Tudor Queens of England, Continuum, London, 2009.
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  • Raffaele D’Amato, Le grandi dinastie che hanno cambiato la storia, Newton Compton Editori, Roma, 2014.
  • Robert Hutchinson, Thomas Cromwell. The rise and fall of Henry VIII's most notorious minister, Weidenfeld e Nicolson, London, 2012.
  • Sara Prossomariti, I grandi personaggi del Rinascimento, Newton Compton Editori, Roma, 2017.

Nota bene

Questa voce fa parte della sezione "Dominae fortunae suae". La forza trasformatrice dell’ingegno femminile, che approfondisce il contributo offerto dalle donne alla nascita e allo sviluppo dei diversi campi del sapere.

Article written by Martina Tufano | Ereticopedia.org © 2021

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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